Origini e finalità del sito

Questo sito nacque dall'intima esigenza di dare una forma e una qualche pubblicità alle riflessioni sul mondo contemporaneo che ero andato elaborando negli anni della mia esperienza accademica. Iniziai con la foga ancora tipica della tarda età giovanile, una smania furente di scagliarmi contro quella povertà spirituale e quell'inconsapevole tracotanza che rinvenivo in quasi tutte le manifestazioni, fossero basse o colte, della nostra società. Vedevo ovunque un vano agitarsi, un brulicare senza scopo, un affannarsi dietro fantasmi inconsistenti che l'uomo occidentale ha creato da solo. E quel ch'è peggio, la cecità ottusa e proterva che scambia quest'agitazione insensata per l'attività di uomini "progrediti", di uomini "superiori" che guardano al passato con la stolta convinzione di vivere in un'epoca illuminata, in cui le basse superstizioni e le ingenuità fanciullesca siano state finalmente abbandonate. Dietro a questa incomprensibile iattanza, vedevo celarsi un'amara verità, come scrivevo nel primo articolo, omonimo al sito, Homo errans:
Meno infermo nel corpo (ma più malato nell'animo), meno gravato da pesi fisici (ma oppresso da fardelli morali), l'uomo contemporaneo vaga agitandosi finché non giunge a quell'immenso abisso che d'improvviso gli si para davanti. Un oscuro vuoto di cui non sa rendere ragione, perché non lo può analizzare, non lo può misurare, non può sviscerarne le dinamiche. Durante la vita l'aveva rimosso, relegandolo fuori dal discorso scientifico, l'unico degno d'esser portato avanti da uomini razionali ed evoluti. Perché con la morte finisce la vita, finisce il processo, finisce l'indagabile. Tutt'al più ci si potrà concentrare sui processi di decomposizione del cadavere, perché quella ancora è vita, sebbene non più la nostra, ma quella di minuscoli esserini che prosperano sulle nostre carni che vanno imputridendosi. Ma non si potrà dire di più.
Su questa rappresentazione dell'uomo contemporaneo - che, va da sé, era poggiata sul Nietzsche della morte di Dio e sulle riflessioni di molti, grandi pensatori che l'avevano seguito - concordo ancora oggi. Il positivismo - nella sua forma più estrema, pragmatistica, tipica della nazione uscita unica trionfatrice dei tumulti del Novecento, gli Stati Uniti d'America - ha spazzato via ogni altra visione dell'esistenza. La sua mentalità pervade tutto: le istituzioni, la politica, l'istruzione, la vita di ogni giorno. Non c'è alcuna alternativa in vista, non si osa nemmeno immaginare che la scienza possa essere messa da parte quando ci si voglia occupare di questioni che riguardano il significato e lo scopo dell'esistenza. Intendo dire che la scienza, che orgogliosamente dice di occuparsi soltanto di "spiegare" (prevedere e modificare) i fenomeni, impedisce di farlo. Lo impedisce perché le è stato assegnato dagli uomini moderni il monopolio della ragione, di quella ragione che è considerata l'unica facoltà superiore e universale dell'uomo, l'unico giudice cui spetti di diritto emettere sentenze sulla validità o meno di qualsivoglia visione del mondo. Ora, nel sopraccitato articolo d'apertura, opponevo al discorso razionale, che in qualche maniera anch'io accettavo essere prerogativa della scienza e di quel discorso filosofico che le fa da contorno, la religione, di cui individuavo il fondamento nella fede:
I discorsi sono di molti tipi. Non c'è soltanto quello razionale, quello disperatamente attaccato al logos, alla possibilità di render ragione di tutto. C'è la fede. Ci sono le fedi. Le religioni richiedono un atto d'abbandono, una primitiva fiducia nella verità del loro messaggio. Ma è proprio questo che è venuto meno in Europa negli ultimi secoli: la spontanea, fiduciosa aderenza al dettato della fede cristiana, in qualunque confessione essa sia declinata.
Bene, a distanza di quasi dieci anni non mi trovo più d'accordo con questa netta separazione tra la ragione, prerogativa della scienza (e di quelle filosofie che le sono ancelle), e la fede, propria, invece, dell'esperienza religiosa.
Che cos'è successo? Avevo individuato il deserto all'interno del quale l'uomo moderno si agita, e mi c'ero smarrito anch'io! Presa consapevolezza della miseria spirituale odierna, ero incapace di vedere oltre. Per me, che avevo meditato a lungo le opere di Karl Löwith, l'esito nichilistico contemporaneo non era un errore o una deviazione, ma una sorta di destino, per dirla alla Heidegger, dell'uomo moderno. Avevo abbandonato ogni speranza di una vita in cui scintillasse la luce dello spirito. Per anni trascurai la riflessione, fermo sulle posizioni che avevo elaborato, e praticai la snervante polemica quotidiana sull'inarrestabile decadenza di una società che precipita nell'abisso d'un individualismo narcisistico e, al tempo stesso, uniformante, che il capitalismo consumista e i nuovi mezzi di comunicazione stanno fomentando senza sosta. Poi, a un certo punto e in maniera del tutto inattesa, mi fu mostrato che ci sono ancora vie per dare senso e dignità all'esistenza. Cominciai a comprendere che la scienza non ha il monopolio di nulla, che la fede non è la sola dimensione dell'esperienza religiosa e che vi sono, soprattutto, vie dello spirito che nulla hanno a che fare con l'irrazionalità e il sentimentalismo in cui il mondo moderno le ha relegate. Capii che il deserto poteva diventare una selva.
Da allora ho ripreso a scrivere, seppur saltuariamente, su questo sito, il cui scopo è in parte cambiato. Si prefigge ancora di palesare il deserto della società contemporanea, ma, a differenza di quando lo iniziai, adesso vuole anche mostrare che ci sono altre vie dello spirito, altre esperienze significative che possono, se non cancellare, perlomeno alleviare l'angoscia causata dalla frenetica insensatezza del nostro modo di vivere. 
Hieronymus Bosch, Il venditore ambulante,
1494, Rotterdam, Museo Boijmans Van Beuningen.


Infine, una precisazione sulla firma di questi articoli. Fino a pochissimo tempo fa (scrivo queste righe il 1° maggio 2020), vi campeggiava in calce il mio nome e cognome. Di recente ho deciso di sostituirlo con uno pseudonimo, Viator. Non l'ho fatto, badate bene, perché non voglia "metterci la faccia". Non mi pare di scrivere niente che possa configurarsi come un reato e non ho velleità politiche (la politica è troppo interconnessa col mondo odierno perché possa interessarmi e, inoltre, per definizione è fonte di divisione, e io ho di mira un'unità che inevitabilmente le sfugge). Credo semplicemente che il mio nome non aggiunga nulla a quanto vado scrivendo. Mi basta essere soltanto una voce, una voce umile e sommessa, il cui modesto scopo e di ricordare che si può, anche se poco, vivere altrimenti, che è possibile affrancarsi, anche solo per brevi momenti, da quelle robuste e invisibili catene che ci gravano sull'animo.

Commenti

  1. Buon giorno.
    Ho scoperto solo oggi il suo sito (non sono un gran navigatore). Intendo esplorare tutto ciò che offre. Mi spiace, però, non aver più la possibilità di "vedere la faccia" di Lei che scrive: sono convinto, infatti, che ogni pensiero venga arricchito dalla relazione con il proprio autore da inimmaginabili possibili risonanze e persino orizzonti. Per riferirci ad un autore che le è caro, se non sapessimo che l'uomo folle che proclamava che "Dio è morto, Dio resta morto e noi lo abbiamo ucciso", lo aveva "creato" Nietzsche, questa frase non sarebbe stata così incisiva come di fatto è stata, è, e sarà.

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    1. Buonasera, Adriano, la ringrazio per le sue gentili parole, e mi scuso di non averle risposto prima (per non so quale motivo, non mi era stato notificato il suo commento, di cui sono venuto a conoscenza adesso e per puro caso, mentre stavo ricontrollando la pagina). Per quanto riguarda la sua osservazione sull'anonimato, mi permetto di prendermi un po' tempo per meditarla e risponderle, perché credo che lei abbia toccato delle questioni molto importanti.

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    2. Buongiorno, Adriano, invece di risponderle con un commento, alla fine ho deciso di scrivere un articolo sul tema dell'anonimato, che trova a questo indirizzo.

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