La ricerca mancante

Nelle sue Confessioni, Agostino racconta come abbia trovato la fede (cattolica) in Dio dopo una vita d'errori, incertezze e sofferenze. La sua giovinezza disordinata fu dominata dalla sensualità, in mezzo alla quale ardeva, però, un fuoco mai sopito per la ricerca del divino e d'una verità che fosse non solo certezza della mente, ma anche intima e piena aderenza dell'animo. Agostino fu dominato da perplessità e incertezze, si lasciò andare, si trascinò per una vita che, benché lo avvincesse, non lo soddisfaceva, procrastinando il momento d'abbandonarla per darsi tutto alla ricerca di Dio e della Verità. Ma non dubitò mai della loro esistenza, non cessò mai, neppure durante il suo avvicinamento agli accademici a seguito dell'abbandono del manicheismo, di cercarli.
Io soprattutto mi stupivo, allorché con uno sforzo rievocavo il lungo tempo passato dal momento in cui, diciannovenne, avevo cominciato a infervorarmi nella ricerca della sapienza, progettando di abbandonare, appena l'avessi scoperta, tutte le speranze fatue e i fallaci furori delle vane passioni. Ed eccomi ormai trentenne, vacillante ancora nella medesima mota, avido di godere del presente fugace e dispersivo, mentre mi andavo dicendo: "Domani troverò. Ecco che il vero mi si manifesterà chiaramente, e l'afferrerò; ecco che verrà Fausto e mi spiegherà tutto. O accademici, spiriti grandi, nessuna certezza si può davvero raggiungere a guida della vita. Ma no, cerchiamo con maggiore diligenza anziché disperare. Ecco ad esempio che quelle che sembravano assurdità nei libri ecclesiastici, non lo sono più: è possibile intenderle in maniera diversa e degna. Prenderò dunque come appoggio ai miei passi il gradino ove fanciullo mi posero i genitori, finché mi si riveli chiaramente la verità. Ma dove cercarla? quando cercarla? Non ha tempo Ambrogio, non abbiamo tempo noi per leggere, e poi, anche i libri dove cercarli? da chi e quando ottenerli, a chi chiederli? Riserviamo del tempo e assegniamo alcune ore alla salvezza dell'anima. Una grande speranza è spuntata: gli insegnamenti della fede cattolica non sono quali li pensavamo, le nostre accuse erano inconsistenti. I suoi esperti conoscitori reputano un'empietà il credere Dio chiuso nel profilo di un corpo umano; e noi dubitiamo a bussare perché ci si schiudano le altre verità? Le ore del mattino sono occupate dalla scuola; nelle altre cosa facciamo? Perché non impiegarle in quest'opera? Ma quando andremmo a ossequiare gli amici importanti, di cui ci occorre l'appoggio, quando prepareremmo le dissertazioni da smerciare agli alunni, quando, anche, ci ristoreremmo, rilassando lo spirito dopo la tensione delle occupazioni?
Tutto crolli, sbarazziamoci di queste vane futilità e votiamoci unicamente alla ricerca della verità! La vita è miserabile, la morte è incerta. Potrebbe sopravvenire all'improvviso, e allora come usciremmo da questo mondo? dove potremmo imparare quanto qui abbiamo negletto? Non dovremmo pagare piuttosto il fio della presente negligenza? E se la morte stessa troncasse e concludesse ogni angustia insieme alla sensibilità? Anche questo è un problema da investigare. Ma no, lontano da me il pensiero che sia così. Non senza un motivo, non per nulla l'autorità della fede cristiana s'irradia da tanta altezza sul mondo intero. La divinità non realizzerebbe tante e tali cose per noi, se con la morte del corpo si estinguesse anche la vita dell'anima. Perché dunque esitiamo ad abbandonare le speranze mondane, per votarci totalmente alla ricerca di Dio e della vita beata? No, adagio: anche il mondo è piacevole e possiede una sua grazia non lieve. Bisogna essere cauti a troncare l'impulso che ci spinge verso di esso, perché sarebbe indecoroso tornarvi da capo. Ormai, ecco, siamo abbastanza valenti per ottenere un posto onorato, e che altro desiderare nella nostra condizione? Abbiamo un buon numero di amici potenti. Se non vogliamo brigare troppo per avere di meglio, una presidenza la possiamo ottenere senz'altro. Poi si dovrà sposare una donna provvista di qualche soldo, che non aggravi le nostre spese, e questo sarà il termine dei desideri; molti spiriti grandi, degnissimi d'imitazione, si dedicarono allo studio della sapienza con le mogli al fianco".
In queste mirabili pagine (VI, 11, 18-19) delle Confessioni si colgono anzitutto i dubbi e le contraddizioni d'un animo che meditava inquieto, che ponderava dubbioso quale via intraprendere, che tornava incessantemente sui propri passi, avvinghiato e involuto, ma mai domo, mai indifferente, mai del tutto trascinato da una vita sconoscente (come l'avrebbe chiamata Dante, altro grande cristiano in cui vita, pensiero e dottrina si fondevano). La serietà del suo animo e della sua ricerca si palesano proprio nella consapevolezza del rischio che correrebbe se abbandonasse la sua attraente quotidianità, della quale non nega affatto i piaceri. Come Spinoza all'inizio dell'età moderna, ma più di Spinoza perché vissuti e sperimentati per lunghi anni, Agostino conobbe quei beni incerti che, una volta goduti, tornano subito ad assillare l'animo e a ossessionare la mente perché si riposseggano ancora.

Vittore Carpaccio, La visione di Sant'Agostino, 1502, Venezia, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni. 
Dopo una lunga e travagliata ricerca, Agostino trovò infine una pace vivificante nella fede in Dio e nell'obbedienza alla Chiesa cattolica, della quale fu uno dei figli più illustri. Ma non è questo il punto. Quel che a me interessa sottolineare è che Agostino non cessò di cercare fin quando non trovò ciò che lo ebbe soddisfatto nell'intimo. E anche allora non s'accontentò, non s'adagiò, ma continuò a meditare e a sviscerare quanto aveva abbracciato, per approfondirlo, illuminarlo e interiorizzarlo compiutamente.
Quindici secoli separano Agostino da Friedrich Nietzsche. Quindici secoli che videro il cristianesimo fiorire meravigliosamente come anima e centro irradiatore della civiltà europea e, poi, dopo aver raggiunto la piena maturazione, pian piano avvizzire. La riflessione, aspra e tormentata, di Nietzsche, si situa alla fine di questo processo, quando il cristianesimo aveva ormai perduto vitalità e centralità negli animi degli europei suoi contemporanei. Mancava soltanto di squarciare il velo d'abitudinarietà e ipocrisia che celava questa verità. Toccò a Nietzsche, con la sua tenace e intransigente volontà di smascherare ogni inganno, ogni ipocrisia, ogni illusione.
Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del matti­no, corse al mercato e si mise a gridare inces­santemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? — E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «Si è forse per­duto?» disse uno. «Si è smarrito come un bambino?» fece un altro. «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?» gridavano e ri­devano in una gran confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Do­ve se n'è andato Dio?» gridò «ve lo voglio dire! L'ab­biamo ucciso — voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini!
Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avan­ti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infini­to nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? — Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sem­pre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo ancora nulla? Non fiu­tiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? An­che gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consolere­mo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli — chi de­tergerà da noi questo sangue? Con quale acqua po­tremmo lavarci? Quali riti espiatòri, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dèi, per apparire al­meno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più gran­de — e tutti coloro che verranno dopo di noi ap­parterranno, in virtù di questa azione, a una sto­ria più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!». — A questo punto l'uomo folle tac­que, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltato­ri: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Fi­nalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo presto,» prose­guì «non è ancora il mio tempo. Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino – non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, la luce delle stelle vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anceh dopo essere state compiute, perché siano viste e ascoltate. Quest’azione è ancor sempre più lontanta dagli uomini delle stelle più lontane – eppure sono loro che l’hanno compiuta!». – Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?»
Quello appena riportato (l'aforisma 125 della Gaia scienza) è forse il passo più celebre dell'opera nietzschiana e uno dei brani più famosi dell'intera storia della filosofia occidentale. L'uomo folle, il filosofo intransigente ricercatore della verità, nemico d'ogni compromesso e quieto vivere, si reca al mercato ad annunciare la cattiva novella. E' in uno stato d'eccitazione prossimo alla furia, sia per la smania d'annunciare il vero smascherando le facili certezze sia per il contenuto di quel vero da palesare ai suoi contemporanei. L'uomo folle sceglie il mercato per annunciare la sua cattiva novella. Sceglie, cioè, uno dei luoghi dove si compie l'attività più significativa dell'uomo moderno: l'economia. Lì, irrompendo con una lanterna in mano in pieno giorno (la luce della verità contro la falsa luce delle certezze a buon mercato), chiede ansiosamente dove sia Dio. Le risposte beffarde dei presenti danno il tono dell'animo degli europei dell'Ottocento. Se lo stesso uomo si fosse presentato due secoli prima allo stesso mercato urlando "cerco Dio! Cerco Dio!" sarebbe stato dapprima guardato con sgomento, poi avrebbe destato disprezzo e odio e, infine, sarebbe stato bruciato sul rogo. Non si scherza sulle convinzioni intime, su ciò che informa la propria quotidianità e dà senso alla propria vita (oggi probabilmente sarebbe stato ripreso con la videocamera di un telefonino e caricato su Youtube come filmato "ganzo", "figo", oppure bizzarro alla cui vista sollazzarsi - almeno per qualche giorno; o magari, in Italia, avrebbe sollevato lo "sdegno unanime" della classe politica, non proprio disinteressatamente all'unisono con la Chiesa cattolica).  Gli uomini dell'illuminato secolo decimonono, invece, motteggiano a cuor leggero su Dio perché ormai questi non ha che una parte ininfluente nelle loro esistenze, un ruolo di facciata. L'uomo folle mostra loro la verità: Dio è morto, e sono stati proprio loro a ucciderlo. Eppure non se ne rendono conto, non percepiscono il lezzo della putrefazione del cadavere divino e, soprattutto, non sospettano cosa ciò possa comportare: lo smarrimento, la perdita definitiva d'ogni centro, l'eterno precipitare (splendida immagine: una sorta di incubo della caduta da cui non ci si possa svegliare). Gli astanti ammutoliscono stupiti alle sue parole e alle sue irruzioni nelle chiese, tombe dell'Altissimo. Ma non capiscono. Anzi, si può addirittura immaginare quello che Nietzsche non racconta: l'uomo è appunto riconosciuto come folle e, per questo, le sue aspre e tremende parole vengono neutralizzate. "Chi darebbe ascolto ai vaniloqui d'un pazzo? Sono ciance, ciance incoerenti strillate da un uomo che ha perduto il senno. Un uomo che abbisogna di cure, altro che essere considerato lo svelatore dello stato dell'umanità europea! E come non potrebbe essere folle chi parla di morte di Dio, d'eterno precipitare nell'epoca che vede finalmente la ragione dominare la vita degli uomini? Non si scorgono ogni dove i benefici della scienza e dell'industria? Non siamo ogni dì i testimoni delle mirabilia dell'ingegno umano? Non è forse l'Europa il centro del mondo, il faro della civiltà, l'acme dell'umanità presente e passata? Che sciocchi che siamo stati a prestar anche solo per un attimo ascolto a quello squilibrato, a quel malato!" E così se ne tornano alla loro sconoscente quotidianità, tutti presi dal commercio, dall'industria, dalla scienza e dalla politica, indifferenti alle "antiquate" questioni metafisiche (e qui viene in mente Auguste Comte, che dichiara semplicemente decaduti, finiti nel dimenticatoio tutti quei problemi fittizi che agitarono per secoli le menti eccelse dell'Occidente), tetragoni nelle loro certezze e beffardi verso chiunque non le abbracci.

Friedrich Nietzsche nel 1882, in una foto di Gustav Adolf Schultze.
Il brano di Nietzsche a me pare che mostri anche, insomma, che l'uomo occidentale ormai non cerca più, che sia talmente immerso in un'immanenza scientista ed economicistica da non prender sul serio qualunque altro tipo d'esistenza (salvo improvvise e improbabili conversioni orientaleggianti, rapide e consistenti quanto l'acquisto e la durata d'un capo all'ultima moda) e qualunque discorso in cui la ragione non venga impiegata seguendo alla lettera il paradigma delle scienze naturali. Tutto ciò non sarebbe un problema se l'uomo occidentale non s'agitasse smarrito nella sua tanto incensata quotidianità, se non soffrisse della stessa inquietudine di Faust (sebbene diretta verso oggetti meschini e grossolani). Ironico paradosso: disprezza proprio ciò che potrebbe giovargli.


[Il brano delle Confessioni è tratto dal sito www.augustinus.it, dove si può consultare l'Opera omnia del vescovo di Ippona sia in latino sia tradotta in italiano e in altre lingue europee; Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, trad. it. Adelphi, Milano 1999; la riproduzione del dipinto di Carpaccio è tratta dalla Web Gallery of Art; la foto di Nietzsche è tratta dall'articolo Nietzsche dell'edizione tedesca di Wikipedia]

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