Applicazioni inquietanti. Guénon e la psicoanalisi


Io udi’ già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’
ch’elli è bugiardo e padre di menzogna.
Inferno, XXIII, vv. 142-44.


Guardando alla nostra epoca e alla sua civiltà con animo distaccato (cosa non facile, vista la costante e subdola propaganda cui siamo ogni giorno sottoposti, per non parlare della tendenza a metter bocca su qualunque argomento fomentata dall’ossessione per il “diritto di parola”, cui dovrebbe spesso sostituirsi il dovere di tacere), si paleserà lo stridente contrasto tra le continue dichiarazioni in merito al suo superiore razionalismo e il numero esorbitante di articoli di fede che ne costituiscono la sgangherata e contraddittoria ideologia. Ve ne sono alcuni che possono dirsi, senza tema di smentita, universalmente accettati, tra i quali si annoverano la scienza e la tecnica, la crescita economica, la democrazia, i diritti dell’uomo, il culto dell’individuo come depositario ultimo della verità sulla vita e altri di simile tenore. All’opposto, ci sono gli articoli di fede che sono propri di gruppi più o meno ristretti d’individui, che oggi annoverano - mala tempora currunt! - perfino cieche fedeltà ad aziende e ai loro prodotti. Per non parlare delle fissazioni più bizzarre che ghermiscono per periodi più o meno lunghi i singoli, alle quali si dedicano con zelo e diuturna dedizione. Vi sono poi altri articoli di fede che hanno un destino più ambiguo, poiché a una diffusissima fede tra il “grande pubblico” e una un po’ meno generalizzata tra gli “addetti ai lavori”, uniscono critiche più o meno sprezzanti da parte di altri “specialisti”. Tra quest’ultima tipologia di articoli di fede contemporanei possiamo annoverare la psicoanalisi. Molti termini psicoanalitici sono entrati nel vocabolario del “grande pubblico” (a quanto vi corrispondano concetti chiari e distinti è tutt’altra faccenda): inconscio, nevrosi, lapsus, libido, complesso di Edipo, rimozione, ecc., da decenni ormai sono diventati patrimonio comune. Tanto che nel cinema e nella televisione sono topoi che giocano non di rado ruoli importanti nello spiegare comportamenti (la maggior parte delle volte patologici) di uno o più personaggi.

René Magritte, Il terapista, 1937, collezione privata
La stessa figura dello psicoanalista ricorre costantemente. Parimenti notevole è stata l’influenza della psicoanalisi sulle arti. Basti pensare a un romanzo come La coscienza di Zeno, alle opere dei surrealisti e ad alcuni lungometraggi di Alfred Hitchcock, per farsi un’idea del peso della psicoanalisi nella cultura contemporanea. Eppure fin dai primordi s’erano alzate, nel cosiddetto “mondo della cultura”, autorevoli voci critiche nei suoi confronti. Celebre - perlomeno tra coloro che bazzicano la filosofia - e interessante la critica di Karl R. Popper, che conviene succintamente riportare. In Congetture e confutazioni, opera uscita nel 1969, Popper racconta che fin dal 1919 aveva cominciato a nutrire dubbi sulle teorie di Marx, Freud e Adler. Quello che lo lasciava perplesso era proprio il potere esplicativo di queste teorie, il trovare ovunque conferme della loro validità. A infastidirlo, inoltre - e come dargli torto - era il modo in cui veniva replicato a chiunque avanzasse critiche e riserve nei loro confronti: i marxisti ribattevano (ci s’immagina stizziti e livorosi) che le teorie marxiane andavano contro gli interessi di classe di chi le criticava; i sostenitori della psicoanalisi, invece, esortavano i loro critici ad andare in analisi, ché solo da repressioni non analizzate poteva nascere tanta miopia. Di là dalle note di colore (cupo) di questi aneddoti, Popper critica marxismo e psicoanalisi mettendole a confronto con la teoria della relatività di Einstein. Mentre quest’ultima ha capacità esplicative limitate e può essere sempre smentita, le teorie di Marx, Freud e Adler non solo non sono falsificabili, ma mettono in campo ipotesi di salvataggio che permettono loro di scansare possibili smentite. Ora, la critica di Popper, di natura schiettamente epistemologica, rientra a pieno titolo nel calderone della cultura ufficiale novecentesca. Ha il suo posto nei manuali di filosofia, ed è quindi considerata dignitosa e decorosa da generazioni di studiosi e “pubblico istruito”. A citarla in una conversazione colta non si rischiano nasi storti e occhi strabuzzati. Certo, sostenerla con calore con qualche psicoanalista presente potrebbe essere indelicato, ma c’è - più o meno - libertà d’espressione, soprattutto se espressa con pacatezza e urbanità (benché la critica popperiana alla psicanalisi qualcuno potrebbe icasticamente sintetizzarla parafrasando quella fantozziana all’immortale capolavoro del maestro Sergej M. Ėjzenštejn: “per me, la psicanalisi…”). Vi sono invece figure che non sta bene citare in un contesto accademico o in una dotta e civile conversazione. Si rischia appunto di deturpare i volti degli interlocutori e di perder la propria, di faccia, appellandosi a figuri - intellettualmente e/o moralmente - esecrandi. Uno di questi è sicuramente René Guénon. Invero accademicamente poco letto e studiato più che esecrato, Guénon nelle sue opere d’inesorabile critica all’Occidente ha dedicato pagine alla psicoanalisi dove non ne criticava lo scarso rigore epistemologico (per Guénon tutta la cultura occidentale ufficiale, non essendo ancorata ai principi metafisici, è contraddittoria e, alla fine dei conti, epistemicamente inconsistente), ma ne denuncia la pericolosità. La psicoanalisi infatti non si limita, come le filosofie coeve, a esporre teorie, ma mette in opera “applicazioni pratiche di carattere molto inquietante” (Il Regno della Quantità, p. 223) originanti dal carattere satanico di queste teorie. Da questi primi accenni si capirà che le critiche di Guénon sono di un ordine totalmente diverso rispetto a quelle di Popper. Ma andiamo per gradi, cominciando con una definizione. Verso la fine della Crisi del mondo moderno, Guénon approfondisce, in una nota a piè di pagina, il significato dell’aggettivo satanico che aveva appena usato:

Satan, nella lingua ebraica, vuol dire ‘l’avversario’, ossia colui che capovolge le cose e le assume in un certo qual modo all’inverso; è lo spirito di negazione e di sovvertimento, che si identifica con la tendenza discendente o ‘inferiorizzante’, ‘infernale’ nel senso etimologico: quella stessa seguita dagli esseri nel processo di materializzazione secondo cui si è effettuato tutto lo sviluppo della civiltà moderna (La crisi del mondo moderno, p. 174).

Per comprendere appieno questo passo, propedeutico al discorso che andremo facendo sulla psicoanalisi,  sono necessarie alcune precisazioni. Anzitutto bisogna avere ben presente che per Guénon, ricollegandosi direttamente alle dottrine indù, le vicende dell’umanità terrestre seguono un percorso ciclico: partendo da un’epoca iniziale di pieno fulgore spirituale, implicante la presenza a tutti gli uomini dei sommi principi metafisici, l’umanità pian piano se ne allontana seguendo una costante china discendente, fino a giungere all’ultimo periodo in cui tali principi non solo non sono attinti dai più, ma ne viene anche disconosciuta l’esistenza. Al momento di massima distanza dai principi, in un’epoca di completo disordine a tutti i livelli dell’esistenza, avverrà il capovolgimento che riporterà l’umanità nella condizione iniziale del ciclo di manifestazione. La discesa, nell'ultima delle quattro fasi del ciclo, è caratterizzata da una caduta progressiva nella quantità pura, un processo di continua e incessante materializzazione. Se nelle età precedenti, meno lontane dai principi, la presenza e il “peso” della materia era più o meno bilanciato da quello dello spirito, nell’ultima età si va incontro a un suo pressoché totale dominio nelle vite della stragrande maggioranza degli uomini. Si sarà già capito che l’epoca finale di cui si parla è la nostra, e che siamo adesso nella parte terminale del ciclo attuale di manifestazione dell’umanità. 

Ma che cosa dobbiamo intendere con materia? E qual è il suo opposto? Si tenga previamente presente, che gli opposti nella visione tradizionale cui Guénon si ricollega sono tra loro complementari, non si escludono affatto a vicenda, ma sono due poli che determinano, al loro livello, un particolare ambito della manifestazione universale. E questo vale non solo per coppie neutre agli occhi degli occidentali quali, per esempio, luce e ombra, ma anche per più “delicate”, come bene e male. Così che un altro grande “perennialista”, Ananda K. Coomaraswamy, ebbe a scrivere in uno dei suoi articoli che è un’impossibilità logica immaginarsi la realtà senza il “male”, che esso fa parte del cosmo allo stesso modo del “bene”, suo opposto e complementare. Si parla infatti di dualità e non di dualismo, poiché con quest’ultimo termine s’intendono visioni che non prevedono sintesi, ma soltanto opposizioni irriducibili, manichee nel significato comune del termine. Tornando alla materia, per comprenderne la natura dobbiamo tener presente che anch’essa, nel suo significato più ampio, fa parte di una coppia di opposti, coppia che è, in realtà, la dualità prima da cui discendono tutte le altre: forma e materia, per usare la terminologia scolastica; o, secondo i termini che Guénon preferisce utilizzare per tradurre i vocaboli greci eidos e hyle, essenza e sostanza. La materia-sostanza di cui parla Guénon è proprio la hyle di Aristotele: è il polo “oscuro” della manifestazione che accoglie la luce delle forme/essenze, che da indeterminata quale era viene individualizzata in tutto ciò che esiste nella manifestazione. Va inoltre precisato che la materia che compone il nostro stato di manifestazione non è totalmente “pura”, cioè non è totalmente indifferenziata. La materia che ci riguarda è signata quantitate, è determinata dal numero. Questo perché vi sono altri e innumerevoli stati di manifestazione dell’essere che non sono contraddistinti dal numero e dalla quantità. Il nostro mondo, tuttavia, lo è, ed è questo di cui bisogna occuparsi, perché è esso a determinarci ed è esso da cui gli uomini che posseggono le adeguate qualificazioni posso intraprendere un cammino spirituale.

L'Anima del mondo e la scala delle gerarchie del cosmo, in un'illustrazione dall'Utriusque Cosmi del neoplatonico Robert Fludd (1617)

L’umanità, abbiamo visto, cade progressivamente nella materia, fin quando, nell’ultima epoca del ciclo, essa non ne domina in maniera pressoché esclusiva l’esistenza, tratto che si ritrova pienamente  nel materialismo dei moderni, che Guénon qualifica, nella Crisi del mondo moderno come:

Uno stato d’animo indipendente da qualsiasi teoria filosofica (…) Un tale stato d’animo è quello di chi dà più o meno coscientemente la preponderanza alle cose di ordine materiale e alle occupazioni che vi si riferiscono, sia che queste preoccupazioni conservino ancora un’apparenza speculativa, sia che esse siano puramente pratiche (La crisi del mondo moderno, p. 134).

Nel Regno della Quantità della Quantità e i Segni dei Tempi, per distinguerlo dal materialismo filosofico settecentesco, lo chiamerà materialismo pratico, perché appunto scisso da qualsivoglia preoccupazione teorica. Questo materialismo pratico, pur continuando a delimitare le vite degli uomini, nell’epoca attuale non è più la principale forza agente nel processo di caduta dell’umanità. Ha lasciato il testimone, per così dire, alla seconda e ultima fase di quella che Guénon chiama azione antitradizionale. La materializzazione è inserita, come dicevamo, all’interno della tendenza “infernale” caratterizzata dalla negazione e dal sovvertimento dello spirituale che ha portato all’attuale disordine organizzato - perdonatemi l’ossimoro - che scimmiotta, rovesciandolo, l’ordine vero, che riposa sui principi primi. A qualcuno potrebbe venire in mente al satanismo e le sue “messe nere”. Queste pratiche, che non sono altro che il rovesciamento, deturpato, della messa cattolica, sono un fenomeno bizzarro e grottesco, ma limitato, e, proprio per questo, non troppo preoccupante. La vera azione antitradizionale sta altrove, sta nella vita di tutti i giorni, nelle sue istituzioni, nelle sue filosofie, nelle sue visioni del mondo e finanche in certe pratiche che dovrebbero essere curative e che invece celano l’opera di forze che lavorano per portare il nostro mondo verso la dissoluzione, forze che Guénon qualifica come “certe influenze di ordine sottile (…) lo psichismo cosmico inferiore nel suo aspetto più distruttivo e disgregante” (Il Regno della Quantità, p. 164). Ma che cosa sono le “influenze sottili” e lo “psichismo inferiore”?

L’idea che esistano cose puramente “materiali” (…) non corrisponde ad altro (…) se non all’idea che esistano esseri soltanto corporei, la cui esistenza e la cui costituzione non comporterebbero alcun elemento di natura diversa (…) Nella realtà il mondo corporeo non può essere considerato come un tutto sufficiente a sé stesso, né come qualcosa d’isolato nella manifestazione universale (…) Esso, al contrario, procede interamente dall’ordine sottile, dove si può dire abbia il suo principio immediato e per il cui tramite si ricollega, per gradi sempre più prossimi, prima alla manifestazione informale poi al non-manifestato (Il Regno della Quantità, pp. 173-74).

Per l’uomo moderno, il mondo è quello dei sensi e la scienza è lo strumento per conoscerlo - pardon, per manipolarlo. Egli è convinto che questo sia a suo vantaggio, ma anche limitandosi a osservare gli effetti attuali sull’umanità e sull’ambiente ci si renderà conto che si tratta ormai di una puerile illusione. In realtà le attività umane da alcuni secoli producono per produrre, manipolano per manipolare. Analogamente al motto l’arte per l’arte (non casualmente sorto nell’Ottocento, e apparentemente contro la rampante ascesa dell’industria e del capitalismo - ci tornerò in un prossimo articolo), si potrebbe dire la tecnica per la tecnica, la manipolazione per la manipolazione, la produzione per la produzione, perché è davvero arduo argomentare - a meno di non essere al soldo di qualche conventicola oppure ottenebrati dall’ideologia - che tutti questi “avanzamenti” tecnologici ed economici siano volti al benessere degli uomini. Ora, questa concentrazione esclusiva sulle attività materiali è possibile perché l’uomo moderno non crede che esista altro di là da quelle. Guénon, invece, ricollegandosi alle dottrine tradizionali, chiarisce che il mondo dei corpi non solo non è l’unico a esistere, ma non è neppure ontologicamente indipendente. Vi sono altri ambiti da cui esso, direttamente e indirettamente, dipende e che lo ricollegano alla sorgente non-manifestata di tutte le cose. Il primo ordine, da cui ontologicamente dipende in maniera diretta, è quello sottile. Nel Regno della Quantità si sofferma a descrivere gli “elementi sottili” e il loro posto nella manifestazione universale. Tali elementi “corrispondono, nelle cose, a quello che forma in modo proprio l’ordine ‘psichico’ nell’essere umano”. In quanto tali, possono anche chiamati psichici o animici. Elementi sottili sono presenti in tutti i gradi dell’esistenza corporea, sia viventi sia nei non viventi, secondo la terminologia della scienza moderna che Guénon ritiene sbagliata. Prova ne è il naufragio di tutti i tentativi di separare i due ambiti: “non possono esistere realmente oggetti ‘inanimati’, e questa è la ragione per la quale la ‘vita’ è una delle condizioni cui è sottoposta ogni esistenza corporea senza eccezioni” (Il Regno della Quantità, p. 175). Riconosciuta la presenza di un ambito “ontologico” negato dai moderni, passiamo finalmente alla disamina della posizione di Guénon sulla psicoanalisi.

La condanna guénoniana della psicoanalisi si articola in tre punti: la disamina del concetto di inconscio, l’interpretazione psicoanalitica del simbolismo e l’obbligo di sottoporsi a terapia psicoanalitica prima di poterla somministrare a propria volta.

L’inconscio. Per prima cosa bisogna rettificare il nome: il termine inconscio, secondo Guénon, è una contraddizione in termini, in particolare quando è applicato all’ambito psicologico. Come si potrebbe infatti parlare di qualcosa che non può essere conosciuto? Si tratta di uno degli innumerevoli casi di confusione e disordine del mondo moderno, che investe stavolta la correttezza e la precisione del linguaggio e del pensiero. Il termine corretto per indicare quella sfera dell’individualità umana è subconscio. Esso “indica un’estensione che si operi unicamente dal basso, cioè da quel lato che, sia nell’essere umano sia nell’ambiente cosmico, corrisponde alle ‘fenditure’ attraverso le quali penetrano le influenze più ‘malefiche’ del mondo sottile, anzi, potremmo dire, quelle aventi un carattere veramente e letteralmente ‘infernale’” (Il Regno della Quantità, pp. 223-24). Gli psicoanalisti (e non solo loro) radicano l’insieme dell’attività psichica in questo livello, misconoscendo del tutto l’esistenza di quello che Guénon chiama superconscio, che non ha ovviamente nulla a che vedere con il super-io freudiano. Anzi, quelle volte che gli psicoanalisti entrano in contatto con parti del superconscio, lo assimilano al subconscio. Ciò accade con la religione, il misticismo, lo yoga e qualunque altra cosa che abbia a che fare con gli stati superiori dell’essere. Questa degradazione altro non è che un rovesciamento, un segno di sovversione: le profondità dell’animo umano, che gli psicoanalisti si affaticano a sondare, non sono altro che stati inferiori, bassure per nulla feconde.

L’inversione dei simboli. Il carattere satanico della sovversione, che abbiamo visto nel culto psicoanalitico dell’inconscio, rifulge, per così dire, nelle interpretazioni dei simboli. Psicologi anteriori a Freud avevano tentato di spiegare i simboli che richiamano al sovrumano riportandoli al livello dell'uomo, disconoscendone la vera natura. È solo con la psicoanalisi, però, che siamo di fronte a una vera e propria sovversione, dandone una spiegazione che li riporta all’infraumano. Guénon è disgustato dalla psicoanalisi, tanto da parlare di “carattere generalmente ignobile e ripugnante delle interpretazioni psicanalitiche” (Il Regno della Quantità, p. 225). Non che tacci d’intenzioni malevole gli stessi psicoanalisti. All’opposto, ritiene che siano in perfetta buona fede. Ed è questo uno dei tratti più caratteristici del carattere satanico dell’azione di sovversione antitradizionale: l’essere portato avanti anche da chi pensi di operare per il bene altrui, come immagino si possa affermare per la stragrande maggioranza degli psicoanalisti. La psicoanalisi si configura, quindi, come uno dei mezzi più caratteristici dell’opera di sovversione del mondo moderno, le cui prime vittime sono sia coloro che vi si sottopongono sia coloro che la esercitano. La pratica psicoanalitica porta in “superficie, rendendolo chiaramente cosciente, tutto il contenuto di quei ‘bassifondi’ dell’essere che costituiscono ciò che viene chiamato il ‘subconscio’” (Il Regno della Quantità, p. 226). Ora, far emergere tutta quella lordura non è senza conseguenze, soprattutto in considerazione del fatto che chi si sottopone alla terapia psicoanalitica di solito è psichicamente debole, condizione che lo rende ancor meno capace di affrontare quelle forze oscure emerse con la terapia. Si tratta di una discesa agli inferi che non prevede alcuna risalita, perché manca di guida (l’iniziazione, con l’influsso spirituale che veicola; e l’organizzazione che la conferisce, con simboli, riti e pratiche che mantengono sulla via l’iniziato e gli permettono di avanzare lungo il cammino di realizzazione) e perché il soggetto non ha quelle qualificazioni necessarie per affrontare la tenebrosità di quelle regioni.

Il training psicoanalitico. Da ultimo, Guénon si sofferma su quello che oggi viene chiamato il training psicoanalitico, l’obbligo cioè di essere psicoanalizzati prima di poter psicoanalizzare. Si tratta di una palese inversione dell’iniziazione. Il soggetto, invece di ricevere un’influenza spirituale, viene marchiato indelebilmente dallo psichismo inferiore. Il carattere di rovesciamento della trasmissione iniziatica è chiaro anche se consideriamo che nella psicoanalisi conoscenze e capacità passano da psicoanalista a praticante, scimmiottando proprio quello che accade con la vera iniziazione. Questa trasmissione, poi, a differenza delle ininterrotte catene iniziatiche regolari, ha un’origine ben precisa, da rintracciarsi nel suo fondatore, Sigmund Freud, il quale, per ovvie ragioni, non può essere stato psicoanalizzato da nessuno. Per Guénon si tratta di un’altra indicazione della natura satanica di questa disciplina, tanto da chiudere così il capitolo del Regno della Quantità a essa dedicata: “si può riconoscere in questa trasmissione psichica un altro ‘marchio’ veramente sinistro per gli accostamenti che essa suggerisce: la psicanalisi presenta infatti, sotto questo aspetto, una rassomiglianza piuttosto terrificante con certi ‘sacramenti del diavolo’!” (Il Regno della Quantità, p. 229).

Si sarà capito che il giudizio di Guénon sulla psicoanalisi è una condanna senza appello. Disgustato dalle teorie e inquietato dalle conseguenze della loro applicazione, quelle del Regno della Quantità dedicate alla psicoanalisi sono tra le pagine più aspre di un’opera affatto tenera nei confronti del mondo moderno. Ma non è finita qui. A quattro anni di distanza dalla pubblicazione, nel 1945, del Regno della quantità, Guénon sente l’esigenza di tornare sull'argomento. Lo fa con l’articolo Tradizione e inconscio, in cui affronta, ancor più allarmato, Carl Gustav Jung. L’opera di Freud, seppur già di carattere sovversivo, era limitata dal noto materialismo del suo autore. I simboli vi sono malamente deformati, ma la loro origine è sempre e comunque riportata all’ambito individuale, per quanto basso esso possa essere. Con l’opera di Jung, invece, l’offensiva psicoanalitica, come la chiama Guénon, si spinge oltre. Jung, a differenza del suo maestro, cerca di spiegare i simboli della Tradizione con un’ipotesi nuova, da lui stesso formulata: è la celebre nozione di inconscio collettivo. Com’è noto, per Jung esiste, all’interno della sfera psichica personale, un ambito che è comune a tutti gli uomini e che egli appunto designa col nome di inconscio collettivo. A quest’ambito Jung riporta sia l’origine dei simboli che si trovano in tutte le tradizioni sia delle caricature fattene dai malati di mente, da cui la sua ricerca era partita. Così facendo, Jung porta a compimento l’inversione satanica cominciata dal maestro. La nozione d'inconscio collettivo è un esempio compiuto di spiritualità alla rovescia, perché, pur riconoscendo l’origine non individuale dei simboli della Tradizione, la pone, invece che nella luce dello spirito, in “bassifondi oscuri” che per Guénon sono appunto “lo psichismo diffuso delle regioni meno elevate del mondo sottile” (Tradizione e inconscio, pp. 47-48). Che si tratti di un’inversione lo si comprende bene dall’aggettivo usato da Jung per caratterizzare la sua nozione d’inconscio. Ciò che ha carattere collettivo non pertiene agli stati sovraindividuali dell’essere, ma a quelli infraindividuali, non è umano per difetto, non per eccesso. Quindi non c’è risalita verso la sorgente di tutte le cose, ma discesa verso una dissoluzione indifferenziante.

Jung è un autore molto apprezzato tra coloro che si occupano di esoterismo, e non è difficile capire perché. Si tratta di un celebre  studioso contemporaneo, la cui opera è alla base sia della pratica di alcuni psicoanalisti sia oggetto di studio nelle università e che viene, in qualche modo, considerata appartenere all’ambito della scientificità, oltre a proporre spiegazioni, almeno all’apparenza, più compatibili con quelli che sono i dogmi del mondo moderno (non mi sorprenderebbe, per esempio, venire a conoscenza di tentativi di radicare nel DNA l’inconscio collettivo). Proprio per questo riportare il pensiero di Guénon sullo psicoanalista svizzero mi è sembrato un modo per invitare alla cautela tutti coloro che ricorrono alle teorie di Jung per cercare di “aggiornare” le dottrine tradizionali, per dar loro pezze d’appoggio moderne che le rendano più palatabili per sé medesimi e i propri interlocutori.

Gustave Doré, Dante e Virgilio a colloquio con i diavoli della bolgia dei barattieri.

“Io udi’ già dire a Bologna/ del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’/ ch’elli è bugiardo e padre di menzogna” (Inferno, XXIII, vv. 142-144). Così commenta, beffardo, Catalano dei Malavolti, il frate gaudente incontrato tra gli ipocriti da Dante e Virgilio, quando il poeta latino si mostra sorpreso che i diavoli delle malebolge, cui poco prima erano per un soffio sfuggiti, avessero loro mentito. Lo “spirito di menzogna” è maestro di simulazioni e camuffamenti, e riesce agevolmente a far passare sé stesso e le sue opere per l’opposto, tanto da ingannare la stragrande maggioranza degli uomini, perfino alcuni di quelli considerati più saggi. Si potrebbero fare anche esempi recentissimi, risalenti agli ultimi dieci anni o poco più, di quest’azione di sovvertimento fatta passare per il suo opposto. Per amore di quiete e aborrendo le polemiche, mi asterrò dal farlo, consapevole che sarebbero visti come prese di posizione “politiche” della natura più radicale, non essendo i contemporanei in grado di uscire dallo sterile circolo di categorici arroccamenti in un confronto manicheo. In qualunque modo si voglia giudicare (ma è proprio necessario farlo? È proprio necessario prendere immediatamente posizione, schierarsi subito senza lasciar decantare quanto letto o udito, senza rifletterci, senza ruminarlo, per magari giungere a una salutare sospensione del giudizio, ammettendo la propria - eresia! - ignoranza?), la posizione di Guénon sulla psicoanalisi e sul mondo moderno in generale è quantomeno un invito a rimettere in discussione la mentalità e le convinzioni che abbiamo ricevuto e che, senza rendercene conto, prendiamo per verità indiscutibili. Come la tanto vantata “secolarizzazione” dell’Occidente, processo che a scuola ci viene raccontato con tanto di trombe e fanfare e accompagnato da auspici ch’essa s’espanda a tutto l’orbe terracqueo, ma che, a guardar bene, è animata dal disprezzo della religione e dei suoi dogmi. Nel caso della visione religiosa dell’uomo, poi, la secolarizzazione si accompagna al contorto compiacimento per averne distrutto l'origine o comunque la presenza in esso di una parte “divina”. Così la specie è stata fatta sorgere da quelle inferiori (e, sia detto per inciso, l’inferiorità assoluta delle altre specie viventi è tale solo da una prospettiva antropocentrica, da cui anche i moderni, contrariamente a quello che millantano, si pongono), mentre delle azioni, dei pensieri e delle opere dell’individuo si è voluta rintracciare un’origine più o meno bassa, come accade appunto nelle teorie freudiane sull’uomo e la civiltà. Sembra difficile, insomma, contestare che all’opera vi sia uno spirito di contraddizione, uno spirito di negazione le cui conseguenze perniciose, sotto gli occhi di tutti, faticano a essere ammesse per la presa che l’ideologia del progresso ha ancora oggi sulla nostra società. Ma, alla fine dei conti, cos’altro ci si poteva aspettare, vista la smania di degradare l’uomo, di cercare nel “peggio” sempre e comunque l'origine del “meglio”? Se a ciò si aggiunge il sempre maggiore e perverso interesse per figure dai comportamenti aberranti e grotteschi, fino a farne quasi delle figure esemplari, degli “eroi” torbidi e tenebrosi - satanici, appunto - il quadro tracciato da Guénon apparirà forse meno inverosimile anche a quegli “spiriti illuminati” che avranno reagito con scherno e sdegno a certe posizioni che sembrano parenti di “ataviche superstizioni” indegne di europei colti e istruiti del Novecento.


Opere citate o utilizzate per la stesura dell'articolo:

- Dante Alighieri:

-La Divina Commedia, a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, Milano 1994;

- Giovanni Fornero, Salvatore Tassinari:

- Le filosofie del Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2002;

- René Guénon:

- Gli stati molteplici dell'essere, trad. it. Adelphi, Milano 2006;

Il Regno della Quantità e Segni dei Tempi, trad. it. Adelphi, Milano 1995;

- La crisi del mondo moderno, trad. it. di Julius Evola, Edizioni Mediterranee, Roma 2015;

- L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, trad. it. Adelphi, Milano 1997; 

- Tradizione e inconscio, in Simboli della Scienza Sacra, trad. it. Adelphi, Milano 2018.

Crediti fotografici 

 - La riproduzione del dipinto di Magritte:  

https://arthive.com/it/renemagritte/works/333257~Terapista

- La riproduzione dell'illustrazione dall'opera di Robert Fludd:

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Diagram;_integra_naturae...imago,_Fludd,_1618_Wellcome_M0013224.jpg 

- La riproduzione dell’illustrazione di Doré: 
https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Gustave_Dore_Inferno_Canto_21.jpg#mw-jump-to-license

Commenti

  1. Complimenti per la disamina chiara ed esauriente. Mi permette di indicare il link al suo post su Facebook? Un cordiale saluto. Sergio Castellino

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  2. La ringrazio per le gentile parole. Condivida pure, mi farà davvero piacere.

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